Quando nel 1989 iniziai a lavorare in Newel eravamo soltanto in cinque e le riparazioni dei prodotti venivano affidate principalmente ad un tecnico esterno. Ero considerato un jolly e correvo tra la zone dove si confenzionavano i pacchi da preparare e spedire e il bancone del negozio per dare manforte.
Non ricordo come avvenne, ma quando il numero dei dipendenti aumentò quasi del doppio, mi ritrovai ad essere il tecnico interno di Newel. Ovviamente col passare del tempo i fogliettini non erano più sufficienti per tenere traccia delle riparazioni e c’era bisogno di qualcosa in grado di snellire il lavoro.
L’idea fi piazzare un Amiga 2000 carrozzato con scheda e Hard Disk SCSI da 120MB sul bancone in un angolo e con l’allora Superbase sviluppai un programmino dedicato esclusivamente alle mie necessità di laboratorio. Dati del cliente, data di entrata e di riconsegna, note varie, preventivi etc.
Anche Vincenzo, il collega del reparto spedizioni, dopo che mi vide adottare questa soluzione, fece la stessa utilizzando un A500 e un controller SCSI GVP esterno. Fantastico, usavamo due Amiga per la gestione delle riparazioni e delle spedizioni: dati clienti, numero ordine, stampa etichetta per il pacco e così via. Nella foto in evidenza si nota l’Amiga 500 in dotazione all’ufficio spedizioni. I colleghi sono Vincenzo, Stefano e Pier.
Tutto sembrava filare liscio fino a quando nacque la necessità di mettere in comunicazione i due Amiga. Per il 2000 nessun problema, c’erano le schede di rete Ariadne, ma per l’A500 non esistevano schede di rete e installare un secondo A2000 era fuori discussione dato l’elevato prezzo rispetto ad un IBM compatibile. E così, nostro malgrado, accettammo di fare un passo indietro tecnologico rinunciando a quello che Amiga era in grado di fare.
Partimmo quindi da Windows 3.11 installandolo su due PC 486 33Mhz con harddisk IDE (sembrava un chiodo): stesso Superbase per Windows ma un applicativo da rifare tutto da capo. Purtroppo non sarebbe bastato eseguire il porting da un sistema all’altro ma eravamo costretti a sviluppare un sistema completamente nuovo vista la necessità di integrare i dati del laboratorio con quello delle spedizioni.
Ci mettemmo quindi di buona lena e ricominciammo da zero.
Passammo 15 giorni impiegando ogni minuto disponibile tra un cliente ed un altro, e tra un pacco ed un altro. Ma non solo negli orari di lavoro ma anche durante le pause pranzo e spessissimo anche oltre l’orario di lavoro, talvolta anche fino alle 2 del notte. Ma non senza una buona pizza d’asporto!
La stanchezza era tanta ma mai nessuna divergenza: solo consigli su come fare questo o quello, ovviamente per la gloria e per migliorare il nostro lavoro e il servizio per i nostri clienti. Ci piaceva fare il nostro lavoro e contribuire sembrava una cosa del tutto normale. Ci sentivamo come in una famiglia ed è stato gratificante solo per il fatto di esserci riusciti in così poco tempo.
Collaudato per un certo periodo, il nostro software funzionava talmente bene che i computer collegati diventarono ben quattro: uno in negozio per verificare le riparazioni pronte – senza dovermi chiamare al telefono interno – e le spedizioni per i clienti che chiamavano al numero del punto vendita invece che a quello dell’ufficio spedizioni. Oltre a quello in laboratorio, che utilizzavo io, l’altro computer era in dotazioni per le spedizioni visto che i pacchi da spedire ormai diventati ben oltre i 150 al giorno.
Dopo tanti mesi, però, la doccia fredda. Tutto il nostro sistema fu soppiantato da un computer centrale, che ci era stato ceduto dallo studio che allora era il commercialista di Newel.
Inizialmente ero rimasto infastidito: “Che diamine, ci avevamo messo un sacco di impegno e volontà” e non capivo (ma ero giovane) il perché di quel cambiamento visto che avevamo creato un sistema su misura che funzionava a meraviglia. Ci dissero: “Vero che funziona tutto a meraviglia ma se un giorno doveste andarvene, che facciamo? In caso di necessità chi ci agggiorna il software di magazzino, delle spedizioni eccetera?”.
Avevano ragione: due anni dopo lasciai la Newel… ma con molta fatica, devo ammetterlo.
Arrivò quindi un vetusto IBM S/36 che dal nostro commercialista era stato sostituito da un più recente AS/400. Con il floppy da otto pollici, due hard disk interni per un totale di 120 MByte (si MegaByte) e uno disco esterno da 60 MB racchiuso in un cassone ingombrante quasi quanto un foglio A3. Fece da server per il reparto spedizioni e magazzino e venne interfacciato con i PC che avevamo già negli uffici. Tranne il mio e quello su al banco. L’S/36 non prevedeva la gestione delle riparazioni.

A livello gestionale venne quindi installato un software gestionale della società DSC, che permetteva di stampare bolle, fatture e registrare i pagamenti delle spedizioni. Ma di questo parlerà magari Stefano in un prossimo post.
Ricordo che bisognava accendere il server ben quindici minuti prima dell’orario di apertura perché potesse eseguire il self test ed essere così pronto all’uso. La rete tra i PC invece era ancora realizzata con cavi coassiali e connettori BNC da 10Mbit/s. D’altronde non essendoci un interfaccia grafica poteva bastare.
Siamo passati da un Amiga2000 Multitasking a un server IBM S36 del 1983!
Il sistema S/36 fu dismesso da IBM nel 2000 e in effetti durò ancora tanto. l’AS/400 invece è ancora in auge e oggi si chiama “IBM i”. L’Amiga invece…
Curiosità: all’epoca i programmi erano talmente ottimizzati che entravano in pochi KByte ma la differenza la poteva fare anche il campo che registrava l’anno. Veniva omesso il “19” e utilizzati soltanto i due numeri decimali. Questo permetteva di risparmiare ben 2Byte per ogni record inserito. Immaginate 30 MB = 31.457.280 byte. Con 2048 date inserite si risparmiavano così ben 4MB di spazio su disco.
Da qui la corsa all’aggiornamento di tutti i sistemi informatici prima del 2000 per scongiurare il Mellennium Bug.

Nella foto, da sinistra a destra, una pendrive da 1GB, un floppy disk 3,5” da 720KByte, un floppy disk da 360KByte e il floppy disk da 8” da 250KByte.