Mentre le grandi aziende stanno investendo milioni nello sviluppo di applicazioni virtuali e del relativo hardware (con il Meta Quest Pro forse su tutti), il ricordo di un oggetto molto discusso al tempo riaffiora tra i nostri ricordi.
Esposto al centro del negozio, sopra uno scaffale vicino alla colonna portante, i clienti nell’estate del 1995 potevano provare il Nintendo Virtual Boy. La console sfruttava la stereoscopia e, sfruttando dei led rossi, riproduceva dei frame monocolori nel visore. Non si trattava di un vero e proprio caschetto virtuale ma di un visore di giochi in ambientazioni 3D.
La console vendette però quantitativi sotto le aspettative della casa giapponese tanto che Nintendo terminò la produzione l’anno successivo. I problemi principali risiedevano nel fatto che fosse monocromatica (immagini rosse su sfondo nero) e i giochi sviluppati, alcuni conversioni 2D dal NES e SNES che sfruttavano l’effetto parallasse ma non riuscivano a trasmettere al giocatore una reale immersione in ambienti virtuali tridimensionali. I giochi prodotti, alla fine, furono circa una ventina e i titoli di punta, come per esempio Mario’s Tennis e Space Invaders, non riuscirono a trascinare la console e spingere le vendite.
Guardando ai caschetti virtuali di oggi non si può certo dire che il Virtual Boy era sproporzionato e ingombrante oltre modo, ma bisogna tornare ad oltre 25 anni fa quando le aspettative sulle nuove tecnologie erano molto diverse e sul mercato, comunque, era possibile trovare console portatili di tutto rispetto come il Game Boy, il Sega Game Gear e l’Atari Lynx con parchi giochi certamente importanti e un costo più accessibile.
Non è da sottovalutare anche il fatto che la console fu presentata come portatile illudendo l’aspettativa nei giocatori: anche se non necessitava di un monitor, potendoci giocare anche in esterno, le sue dimensioni e il suo peso erano comunque importanti tanto da essere utilizzata tipicamente sul supporto in dotazione. Era possibile anche fissarla al viso in modo da avere le mani libere per utilizzare il joypad fornito in dotazione, ma l’utilizzo migliore era posizionandola sul tavolo sul suo supporto anche se, ogni piccolo movimento del viso, la poteva muovere perdendo il contatto visivo con l’immagine di gioco.
La console risultava scomoda e poteva causare dolore agli occhi, mal di testa e generiche sensazioni di malessere come, in effetti, in negozio avevamo potuto sperimentare. Dopo una partita era facile manifestare capogiri tanto che, con il pubblico, non era facile proporla. Sembra ieri quando provammo la console e la delusione fu tantissima.
L’insuccesso del Virtual Boy influenzò negativamente le aziende, tanto da dover aspettare molti anni prima di rivedere in commercio una tecnologia “vendibile” basata sulla realtà virtuale. Rimane comunque una console unica, un tentativo che ha permesso di anticipare quello che arriverà anni dopo.
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